venerdì 4 aprile 2014

L'Acqua come merce di scambio ... ma non hanno capito che non è benzina !

COSENTINO IMPONE L’AMICO TROMBATO PER L’ACQUA PUBBLICA DI NAPOLI

Da non crederci: Carlo Sarro, avvocato di fiducia di Nicola Cosentino, meglio conosciuto come Nick o’mericano, quest’ultimo purtroppo reduce da una lunga permanenza in carcere, consegna ad Amedeo Laboccetta, il primo missino in Italia ad aver conosciuto le manette (arrestato agli albori di Tangentopoli, era l’aprile del ‘94) la sua poltrona di presidente di uno tra i migliori carrozzoni d’Italia. È il consorzio Gori, monumentale e fallito gestore dell’acqua pubblica in 76 comuni napoletani. L’impresa si è rivelata vincente per una serie di indimenticabili fattori: il carcere ha consegnato alla politica e a Forza Italia un Consentino in perfetta forma. Che ha ritrovato tutti i suoi amici nei posti giusti. Sarro, il suo avvocato di Piedimonte Matese con una agenda fittissima di impegni parlamentari (è naturalmente anche deputato) e il suo amico del cuore, l’ex fascista Laboccetta, seppur avanti con gli anni e con le rogne giudiziarie (denso di vicende il suo curriculum) invece disoccupato in quanto trombato alle ultime politiche. Quindi è scattato l’avvicendamento e la giusta compensazione.
UNA POLTRONA in meno per l’affaticato Sarro, e una finalmente per il sempreverde Laboccetta. Sembra che il presidente della Campania Stefano Caldoro, sentito il nome del candidato, abbia timidamente avanzato un’obiezione. Laboccetta? Proprio quello lì? Poi, capita l’antifona, ha approvato. La nomina, intervenuta su designazione formale dei 76 sindaci che formano il cosiddetto Ato (Ambito territoriale ottimale) comprendenti le zone vesuviane, quelle sarnesi e quelle sorrentine, hanno scelto l’ex camerata in doppiopetto plurinquisito per dare trasparenza a una gestione che ha accumulato 283 milioni di euro di debiti, una ciclopica pianta organica e la sfiducia totale degli amministrati. Missino napoletano, facitore di voti e custode di tessere, ha conseguito la maturità politica sui banchi del consiglio comunale del capoluogo. Dove nell’aprile del ‘94 subì, diciamo così, il primo affronto: un imprenditore spifferò ai magistrati i nomi dei percettori della sua paghetta. Ne fece così tanti che la retata, nel lontano aprile del ‘94, fu maestosa al punto che il Corriere della Sera titolò: “Il rosso e il nero della tangente”. Arrestarono tutto l’arco costituzionale: per la fiamma tricolore entrò in caserma il nostro Laboccetta. “Non infierite sugli sconfitti”, dichiarò un ingenuo Buttiglione. Sconfitto il nostro Amedeo? Ripartì subito e con più forza e sempre con onore. Raggiunse il Parlamento e gli capitò di inciampare una seconda volta: venne coinvolto nel cosiddetto scandalo Romeo, dal nome di un famoso e fortunato imprenditore a cui, secondo l’accusa, avrebbe reso altri servigi. Negò con forza Laboccetta e interrogato sul fatto che Romeo avesse assunto il proprio figliolo, aggiunse: “La sciate stare mio figlio. È entrato come commesso!”. Laboccetta, cognome che oggi compie il suo destino lessicale trovandosi al comando del rubinetto d’acqua, si strinse attorno a Gianfranco Fini ma poi si liberò dall’abbraccio quando il capo ripudiò Berlusconi. Laboccetta seguiva così la sua vocazione a restare nel più grande partito dei moderati e rinunciare a qualunque estremismo.
DA BERLUSCONIANO, seppure di destra, compì il suo dovere di compositore di mosaici azzurri, nel senso delle tessere che pure servivano per giungere agli alti grandi nel partito, e perciò fu davvero una cattiva notizia quella che lo raggiunse nel novembre del 2011: dei finanzieri ficcanaso stavano perquisendo la casa dell’imprenditore Francesco Corallo, un mastino delle società di gioco, gioco legale s’intende, per sospetti finanziamenti illeciti ricevuti dal banchiere Ponzellini. Qui Laboccetta si superò! Conosciuta la tragedia, si fiondò dall’amico e con uno scatto da ghepardo ghermì il finanziere che stava sequestrando un computer portatile. Glielo strappò dalle mani e gridò: “É mio, e io sono parlamentare della Repubblica, e dunque imperquisibile”. Laboccetta se lo tenne stretto e lo portò a casa sua. I magistrati chiesero allora alla Camera di poter effettuare il sequestro: la faccenda andò giustamente per le lunghe. Poi Laboccetta consegnò agli inquirenti il suo computer ripulito da tutti i file, sbianchettati in profondità, relativi alla sua attività politica. Fu un modo di agevolare il compito ai sequestratori e ridurre il tempo dell’afflizione nello scavo della memoria. La faccenda fece molto rumore ma Laboccetta se ne infischiò. Ricandidato alle ultime politiche, perse il treno dell’elezione ma non gli amici. Appena Cosentino uscì dal carcere, lo salutò con una bella dichiarazione d’amore e l’auspicio che la carcerazione preventiva venisse “rivisitata”.
Cosentino non ha dimenticato e appena ha potuto, oplà. Laboccetta di nuovo in carrozza. Il suo primo impegno è quello di effettuare una campagna di ascolto tra i sindaci dell’Ato, per capire le sofferenze e le inefficienze. L’uomo che ci voleva è pronto all’azione.
Articolo dal blog di Antonello Caporale in origine pubblicato da: Il Fatto Quotidiano 7 febbraio 2014

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