A fine maggio
2014, 507 milioni di europei sono chiamati alle urne, tra questi anche i
cittadini di alcuni paesi che OBC segue. Ma capire i meccanismi delle
istituzioni europee non è facile. Un accorato vademecum per orientarsi
"Noi non coalizziamo stati, ma uniamo uomini",
aveva scritto Jean Monnet nella sua splendida autobiografia politica.
Un’affermazione grandiosa, che racchiude in sé il senso profondo del
progetto integrazionista dell’Europa disegnato dai padri fondatori. Una
promessa non a caso più citata che praticata in questa difficile Europa
economica, inevitabilmente in crisi.
Eppure tra il 22 e il 25 maggio prossimo 507
milioni di cittadini esprimeranno con il loro voto il nuovo Parlamento
europeo: la più grande assemblea elettiva al mondo (seconda solo alla
Camera del Popolo dell'India), il primo – e al momento unico –
parlamento internazionale.
Quando si parla di Europa politica, è inutile
negarlo, la confusione regna sovrana. L’opacità dell’informazione
europea non deriva solo dalle 24 lingue con cui i politici e i
giornalisti dei paesi membri si rivolgono a 28 opinioni pubbliche
nazionali, né dalle dimensioni di quest’agorà politico continentale: è
la natura stessa di una costruzione storica inedita ad essere sfuggente,
ambigua, lontana.
Riflettiamoci: l’Unione europea non è uno stato
ma non è un’organizzazione internazionale, non possiede una
costituzione formale ma i trattati e le norme che formano il cosiddetto
“acquis comunitario” presentano evidenti caratteristiche costituzionali;
se, ad oggi, non possiamo descriverla compiutamente né come una
confederazione di Stati – i cui governi si riuniscono nel Consiglio – né
come un’Unione di popoli – i cui rappresentanti si confrontano in
Parlamento – ciò deriva dal fatto che l’Europa politica è, in realtà, un
processo ancora in corso: un percorso, un tentativo, un modo creativo
di stare insieme, di condividere un destino comune.
L’altezza dei fini non deve certo fornire un
alibi a tutti “i deficit” – democratici, politici, economici,
strategici, militari – che affliggono questo “compromesso
rivoluzionario”. Al contrario, comprendere e denunciare i problemi
dell’Unione significa esserne cittadini: protagonisti attivi di un
processo costituente in cui (fortunatamente) siamo nati e cresciuti, e
dunque anche responsabili dei limiti, delle lacune, delle sconfitte di
questo esperimento politico. Se sapremo guardarle sotto questa luce, le
prossime elezioni europee acquisiranno tutt’altro significato: non
saranno, cioè, una semplice consultazione-sondaggio utile ai partiti
nazionali per misurare le loro forze relative.
La democrazia europea, un spazio da occupare
Questo articolo-
vademecum
serve a orientarsi nel panorama politico transnazionale creato
dall’integrazione europea, uno spazio senza dubbio complesso, ma non per
questo illogico o inabitabile. Se, per lo meno in Italia, giornali e TV
faticano a trattare l’Europa da un punto di vista europeo, grazie «alla
rete» –
tanto evocata quanto trascurata dagli italiani –
disponiamo di buone fonti alternative per partecipare da europei alle prossime elezioni.
Vi segnaliamo tre
link
, più utili che banali: il
sito ufficiale del Parlamento europeo
–
che in vista del 25 maggio ha attivato una speciale sezione informativa –
ma anche, senza vergogna,
la voce “Elezioni europee” di
wikipedia
, la quale riassume in tabelle sintetiche i risultati di tutte le
precedenti consultazioni europee ed elenca i partiti e le forze in campo
di questa tornata elettorale. Eccellente fonte d’informazione è poi il
Glossario europeo
messo a disposizione in tutte le lingue dal sito ufficiale dell’Unione europea.
Per rispondere alle domande più frequenti che
in questi mesi abbiamo sentito crescere intorno a noi, non abbiamo fatto
altro che incrociare – e, all’occorrenza, integrare – le informazioni
cui chiunque può accedere attraverso questi link e i siti ad essi
collegati. Navigare l’Europa in mare aperto, forti dei propri dubbi e
lontani dalle secche dei luoghi comuni sulla crisi è quanto di meglio si
possa fare in questo momento. Come recitano i versi di una poesia
erroneamente attribuita a Pablo Neruda: "Lentamente muore chi non fa
domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli
chiedono qualcosa che conosce".
Le FAQ raccolte per strada…
Il Parlamento europeo per cui votiamo è quello di Bruxelles o di Strasburgo?
Il Parlamento europeo è uno solo, ma ha tre
sedi: Strasburgo, Bruxelles e Lussemburgo. Le sessioni plenarie si
svolgono una settimana al mese a Strasburgo (emiciclo blu), mentre le
riunioni delle commissioni e dei gruppi parlamentari – più eventuali
tornate plenarie suppletive – hanno luogo a Bruxelles. (emiciclo giallo
legno). Lussemburgo è invece la sede del Segretariato generale del
Parlamento europeo. Bruxelles, divenuta capitale europea
de facto
in virtù della posizione geografica e geopolitica del Belgio, ospita le
sedi di tutte le istituzioni europee, eccezion fatta per la Banca
Centrale Europea, che si trova in Germania, a Francoforte.
Perché il PE ha due sedi per le sessioni plenarie? Non è uno spreco?
Sì, dal punto di vista economico è più
dispendioso. Ma dietro questa realtà apparentemente irrazionale vi sono
ragioni storiche rilevanti. La città di Strasburgo, situata in Alsazia, a
ovest del fiume Reno su cui corre il confine tra Francia e Germania, è
città simbolo della riconciliazione franco-tedesca sui cui si fondò
l’Europa.
All’indomani della Seconda guerra mondiale
Strasburgo divenne sede dell’Assemblea rappresentativa della Comunità
del Carbone e dell’Acciaio (1951), nonché di altre importanti
istituzioni internazionali indipendenti dalle Comunità economiche
sancite dai Trattati di Roma (1957) –
come il Consiglio d’Europa (1949) e la Corte Europea dei Diritti
dell’Uomo (1959). Nel corso degli anni, per avvicinare la vita
parlamentare alle altre istituzioni europee con sede a Bruxelles (
in primis
Commissione e Consiglio) venne aperta una seconda sede nella capitale
belga. Il tema della sede unica del PE è stato posto da diverse voci e
parti politiche, ma su ogni eventuale progetto di riforma pesa il veto
francese. La deputata del PPE Erminia Mazzoni spiega esaustivamente la
situazione
in quest’intervista.
Si è già votato per il Parlamento Europeo?
Queste sono le ottave elezioni europee, le
prime avvennero nel 1979. Prima di allora una sorta di parlamento
europeo esisteva già: era l’Assemblea delle Comunità, che solo a partire
dal 1962 prese il nome di “parlamento”. Conformemente all’art. 137 dei
Trattati di Roma in essa sedevano «i rappresentanti dei popoli riuniti
dalla Comunità», ovvero parlamentari nazionali delegati. I Trattati di
Roma assegnavano al PE una funzione consultiva e di controllo politico,
ma nessun potere decisionale. Dal 1979 a oggi, il PE ha aumentato di
trattato in trattato i suoi poteri, proprio in virtù del fatto che è
l’unica istituzione dell’Unione direttamente eletta e legittimata da un
demos
europeo!
Oggi quali poteri ha il PE?
Il Trattato di Lisbona (art. 14 TUE)
attribuisce al PE tre importanti funzioni: discutere e approvare le
normative europee (funzione legislativa), discutere e adottare il
bilancio dell'UE (funzione di bilancio), controllare le altre
istituzioni dell'UE, in particolare la Commissione, per accertarsi che
agiscano democraticamente (funzione di controllo politico). La funzione
legislativa e quella di bilancio sono esercitate dal PE – la “camera dei
popoli” – congiuntamente al Consiglio – la “camera degli Stati”. Come
vedremo al punto 10, da quest’anno il PE elegge il Presidente della
Commissione.
Quest’anno quando si vota?
Si vota dal 22 al 25 maggio, conformemente alle
tradizioni dei singoli paesi. Ogni Stato membro ha la libertà di
definire quali e quanti giorni tenere aperti i seggi sul proprio
territorio: in Olanda e Regno Unito si voterà giovedì 22 maggio, la
Repubblica Ceca e la Francia distribuiranno il voto su due giorni
(venerdì e sabato la prima, sabato e domenica la seconda), ma la maggior
parte dei paesi membri, Italia inclusa, ha scelto di votare nella sola
giornata di domenica 25.
Con quale legge elettorale votiamo alle europee?
Una legge elettorale europea non esiste: ogni
stato membro ha la sua. Esistono tuttavia dei criteri comuni che devono
essere rispettati: conformemente alla decisione del Consiglio del 2002,
tutti gli Stati membri devono ad esempio utilizzare un sistema basato
sulla rappresentanza proporzionale. Uno Stato membro può prevedere la
fissazione di una soglia minima per l'attribuzione dei seggi, ma questa
non può superare il 5%. Alle elezioni europee la maggior parte degli
Stati membri costituisce un'unica circoscrizione, solo quattro paesi
(Francia, Regno Unito, Irlanda, e Italia) hanno scelto di suddividere il
proprio territorio nazionale in circoscrizioni regionali. La legge
elettorale italiana suddivide il territorio italiano in cinque
circoscrizioni: Nord-ovest, Nord-est, Centro, Sud, Isole; ciascuna
circoscrizione elegge un numero di deputati proporzionale al numero di
abitanti, con una soglia di sbarramento al 4%. Contrariamente a quanto
attualmente avviene per le elezioni nazionali, questa legge contempla il
voto di preferenza.
Chi può votare e chi può candidarsi?
Le elezioni europee sono elezioni a suffragio
universale e diretto. In tutti gli Stati membri l'età prevista per
esercitare il diritto di voto è 18 anni (tranne in Austria, dove è di
16), ma l’età minima per candidarsi varia da paese a paese: nella
maggior parte dei paesi è fissata a 18, in molti a 21 (ad esempio nel
Regno Unito), in Italia a 25. Ogni cittadino dell'Unione residente in
uno Stato membro di cui non è cittadino ha diritto di voto e di
eleggibilità nello Stato membro in cui risiede, alle stesse condizioni
dei cittadini di quello Stato – la nozione di residenza varia però da
paese a paese. Si noti che in virtù della cittadinanza europea
codificata dal Trattato di Lisbona, entrambi questi diritti sono
riconosciuti anche per le elezioni comunali. In Italia per presentare
una lista alle elezioni europee è necessario raccogliere le firme di
almeno 30.000 elettori per ogni singola circoscrizione, tranne nel caso
in cui la lista abbia partecipato con un proprio simbolo a precedenti
elezioni nazionali o europee, ottenendo almeno un seggio. Le liste vanno
depositate presso l'Ufficio elettorale di ciascuna circoscrizione al
più tardi 39 giorni prima del voto. Sono inammissibili le liste che non
prevedano la presenza di candidati di entrambi i sessi. Va infine
ricordato che la carica di deputato al Parlamento europeo è, per
delibera europea, incompatibile con qualsiasi altra carica
istituzionale, europea o nazionale.
Quanti seggi sono attribuiti all’Italia e agli altri paesi? E con quale criterio?
Secondo il trattato di Lisbona, il numero di
deputati europei non può superare le 750 unità, Presidente escluso. Ogni
Stato membro gode di un numero di seggi proporzionale alla sua
popolazione. La rappresentanza è garantita in modo degressivamente
proporzionale, con una soglia massima di 96 seggi e una minima di 6. Lo
stato più popoloso dell’Ue è la Germania, che infatti ha 96 seggi,
mentre Cipro, Estonia, Lussemburgo e Malta ne hanno 6. All’Italia sono
attribuiti 73 seggi, che saranno ovviamente distribuiti alle forze
politiche nazionali in virtù dei risultati elettorali.
Quali e quanti sono i partiti europei?
Più che di partiti europei è corretto parlare
di “famiglie politiche europee”. Come abbiamo visto, i candidati al PE
si presentano nei vari Stati membri di residenza in partiti o liste
nazionali. Una volta eletti, a Bruxelles faranno riferimento alla
macro-famiglia politica cui il loro partito ha aderito,
indipendentemente dalla loro nazionalità. I due principali
raggruppamenti politici in seno al PE, i quali dal 1979 si contendono la
maggioranza relativa lungo il tradizionale asse sinistra/destra, sono
il Partito Popolare Europeo (PPE) e il Partito Socialista Europeo (PSE).
Esistono tuttavia altre importanti famiglie politiche (cui in futuro
potranno aggiungersene altre): l’Alleanza dei Democratici e dei Liberali
(ALDE), l’Alleanza dei Conservatori e dei Riformisti (ECR), il Partito
della Sinistra Europea (GUE), il Partito Verde Europeo – Alleanza Libera
Europea (V-ALE), il Movimento per un’Europa della Libertà e della
Democrazia (ELD). Per quanto riguarda l’Italia, aderivano e aderiscono
al PPE tutti i partiti di centro-destra (il PDL di un tempo, Forza
Italia di ieri e di oggi, UDC, UDEUR e come “osservatori” anche Nuovo
Centrodestra e Südtiroler Volkspartei), sono membri del PSE il Partito
Democratico e il Partito Socialista Italiano, mentre i Radicali e
l’Italia dei Valori afferiscono all’ALDE, la Lega Nord all’ELD e
Rifondazione Comunista al GUE. È complessa la posizione di Sinistra
Ecologia e Libertà, un partito che al momento è diviso tra il sostegno
alla candidatura di Martin Schulz (PSE) a Presidente della Commissione e
il supporto alla lista l’
Altra Europa con Tsipras
, i cui eletti dovrebbero confluire nella GUE. Il Movimento Cinque
Stelle non ha invece ancora definito la sua posizione in Europa.
Perché questa volta si parla di “candidati alla Presidenza della Commissione”? Chi sono?
Il Presidente Barroso è al termine del suo
(secondo) mandato. I candidati alla Presidenza della Commissione
esplicitamente sostenuti da forze politiche europee sono:
Jean-Claude Juncker
(PPE),
Martin Schulz
(PSE),
Guy Verhofstadt
(ALDE),
Ska Keller
(Verdi),
Alexis Tsipras
(GUE). La competizione politica cui stiamo assistendo in occasione di
questo cambio al vertice è dovuta alla nuova procedura di elezione del
Presidente della Commissione prevista dal Trattato di Lisbona, una
previsione che è entrata in vigore solo quest’anno e che verrà applicata
per la prima volta all’indomani del voto di maggio.
Per comprendere senza equivoci il nuovo campo
da gioco disegnato dal Trattato di Lisbona e capire perché questa volta i
partiti europei abbiano ritenuto di dover indicare un loro candidato
all’esecutivo di Bruxelles, è bene riportare direttamente gli articoli
in questione:
Art. 17 TUE, comma 7: "
Tenuto conto delle elezioni del Parlamento europeo e dopo aver
effettuato le consultazioni appropriate, il Consiglio europeo,
deliberando a maggioranza qualificata, propone al Parlamento europeo un
candidato alla carica di presidente della Commissione. Tale candidato è
eletto dal Parlamento europeo a maggioranza dei membri che lo
compongono".
Art. 17 TUE, comma 8: "
La Commissione è responsabile collettivamente dinanzi al parlamento
europeo. Il Parlamento europeo può votare una mozione di censura [...]".
Com’è evidente, siamo ben lontani da un
rapporto di tipo fiduciario tra PE e governo europeo, e il ruolo del
Consiglio (ovvero dei governi) rimane preminente. Tuttavia, per quanto
estetica e forse strumentale, la politicizzazione che questi articoli
hanno innescato è positiva, soprattutto per la Commissione –
l’istituzione europea meno amata proprio in virtù della sua opacità
burocratica.
Quali sono le altre “riforme di Lisbona” di cui tutti parlano?
Il trattato di Lisbona nasce dalle ceneri della
sconfitta del Trattato costituzionale firmato a Roma nel 2004 – la cui
ratifica venne interrotta, un anno dopo, dalle bocciature referendarie
in Francia e Olanda. La struttura di questo trattato sembra studiata a
tavolino per renderlo illeggibile, ma la sostanza giuridica e lo spirito
costituzionale sopravvivono anche in quell’orrendo corpo.
Il Trattato di Lisbona è in vigore dal 1°
dicembre 2009, tuttavia buona parte delle sue previsioni istituzionali
divengono operative a partire da quest’anno: è il caso della
summenzionata procedura di elezione del Presidente della Commissione, ma
anche della nuova composizione del Parlamento europeo e del nuovo
sistema di votazione a “doppia maggioranza” in seno al Consiglio – il
meccanismo, che entrerà a pieno regime solo nel 2017, prevede una nuova
maggioranza qualificata composta dal 55% degli Stati che rappresentino
almeno il 65% della popolazione dell’Ue.
Novità istituzionali di rilievo, già in vigore
dal 2009, sono il Presidente stabile del Consiglio europeo – eletto a
maggioranza qualificata dai governi per due anni e mezzo – e l’Alto
rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di
sicurezza, figura che accumula su di sé anche la carica di
Vicepresidente della Commissione.
Sia il Presidente del Consiglio Van Rompuy che
l’Alto Rappresentante Catherine Ashton sono alla fine del loro mandato:
il primo lascerà a novembre di quest’anno, la seconda terminerà il
proprio operato contemporaneamente alla Commissione Barroso. L’esito
delle prossime elezioni europee peserà dunque sul ricambio di tutti i
vertici istituzionali dell’Ue.
Va poi ricordato che il Trattato di Lisbona
lascia aperta un’altra strada potenzialmente rivoluzionaria: cosa
accadrebbe se le cariche di Presidente della Commissione – eletto sulla
base della composizione del PE – e di Presidente permanente del
Consiglio europeo – nominato dai governi – si cumulassero in una sola
persona? Sarebbe una notevole (e politicissima) fusione tra comunitario e
intergovernativo! Il nuovo trattato non prevede ma nemmeno impedisce
uno scenario simile.
Ma se ora esiste un Presidente Stabile, perché ho letto che l’Italia assumerà la Presidenza dell’Ue?
La presidenza a rotazione semestrale, che
l’Italia assumerà dal prossimo 1° luglio, non è stata abolita dal
Trattato di Lisbona, ma a seguito dell’istituzione di una presidenza
stabile per il Consiglio europeo – in cui si riuniscono i Capi di Stato e
di governo – essa riguarda unicamente il Consiglio dell’Unione europea –
in cui si riuniscono i ministri competenti per materia.
Com’è composto il parlamento uscente? Sono attesi grandi cambiamenti?
Per conoscere la composizione del Parlamento uscente
potete cliccare qui
. Si può affermare che le elezioni del 2009 vennero vinte dal
centro-destra: il solo PPE staccò di più di dieci punti il PSE.
Purtroppo, a livello europeo, il vero vincitore fu il non-partito
dell’astensione: votò solamente il 43,24% degli aventi diritto,
l’affluenza più bassa mai registrata.
Particolarmente sconfortanti furono le cifre
registrate in molti neo-membri dell’est; in Romania, entrata nell’Ue
giusto due anni prima, l’affluenza si fermò al 27,67%. D’altronde,
secondo una ricerca effettuata dallo stesso PE, dal 1979 a oggi la
partecipazione alle europee è diminuita in tutti gli stati membri con
una media di quasi 19 punti percentuali. Alle prime elezioni europee
l’affluenza fu del 63% : una soglia mai toccata in seguito, ma va detto
che allora la Cee contava solo nove stati membri. Qualunque sarà la
composizione del nuovo Parlamento, per la democrazia europea è
fondamentale che questo sia legittimato dal maggior numero possibile di
cittadini. Paradossalmente (o forse no) in vista delle prossime elezioni
sono proprio i movimenti euroscettici a dimostrare la maggior capacità
di mobilitazione presso le opinioni pubbliche nazionali.
Chi sono gli “euroscettici”?
Vengono giornalisticamente etichettati come
“euroscettici” quei partiti e movimenti che, contestualmente al paese di
provenienza, si proclamano contrari all’integrazione europea in nome
della sovranità e della democrazia nazionale. I partiti euroscettici più
importanti di cui si prevede una buona affermazione sono il Front
National in Francia, il Partij voor de Vrijheid in Olanda, il
Freiheitliche Partei in Austria, il Movimento 5 Stelle in Italia, e l’UK
Independence Party nel Regno Unito. Quest’ultimo riuscì a superare il
Partito Laburista già alle scorse europee; il suo leader, Nigel Paul
Farage, è il più noto volto europeo del fronte euroscettico. Una volta
eletti, i parlamentari di questi partiti fanno in genere riferimento
alla famiglia dell’ELD (Movimento per un’Europa della Libertà e della
Democrazia) oppure rimangono tra i non iscritti. È possibile che a
seguito delle prossime elezioni i deputati programmaticamente
anti-integrazione superino le 25 unità, e possano così formare un nuovo
gruppo.
L’Unione mi sembra molto complicata e poco trasparente. Dovrei
fidarmi? Come faccio a seguire l’operato del candidato che ho votato?
L’Unione europea è complessa, ma è più
trasparente di come viene descritta. Complessità e opacità non sono
sinonimi: anche le democrazie nazionali più avanzate sono sistemi
complessi e perfettibili, i cittadini non sempre trovano di facile
comprensione le regole del comune in cui abitano.
La verità è che nonostante operino ad un
livello sovranazionale, al vertice della piramide di cui noi siamo la
base, le istituzioni europee sono state fondate sui concetti stessi di
apertura e trasparenza. Le due sedi del Parlamento europeo, la
Commissione europea, la Corte di Giustizia europea, la Banca centrale
europea… sono non a caso palazzi di vetro,
c'est-à-dire
: guardateci, tutto ciò che avviene qui dentro vi riguarda. Ma al di là
della felice simbologia dei materiali, anche da un punto di vista
sostanziale il giudizio sul processo decisionale europeo molto spesso è
negativo a priori: sono anni che le “grigie, nebulose, e
incomprensibili” istituzioni di Bruxelles mettono tutto in rete; è da
quando esistono che tutti i cittadini possono visitarle, consultarne i
documenti, assistere ai loro lavori. Per quanto riguarda il Parlamento
europeo, sappiate che visitarne le sedi è facilissimo,
sia come turisti
che in qualità cittadini interessati a una seduta – provare per
credere: il metal detector di qualsiasi aeroporto è più selettivo.
Sul sito ufficiale vengono puntualmente calendarizzati
i lavori e gli ordini del giorno delle plenarie
; dal 2008 le sedute sono trasmesse in diretta streaming da
EuroparlTV
, con sottotitoli o traduzione simultanea disponibile in tutte le lingue ufficiali dell’Unione. Le anagrafiche, i
curricula
, le attività, le dichiarazioni, i contatti di ogni parlamentare europeo sono disponibili a partire
da questa pagina
.
Per chi non avesse dimestichezza con il
web
, ricordiamo che il PE ha aperto degli
uffici di informazione
sul territorio di tutti gli Stati membri. Non mancano poi i tentativi di
rendere più giocosa la partecipazione: in vista delle elezioni è stato
chiesto a tutti gli eurodeputati uscenti di votare su 15 tematiche
chiave per il futuro dell’Unione; gli esiti di queste votazioni sono
raccolte su “
Il mio voto 2014
”
, una pagina web che incrocia i voti dei parlamentari con le nostre
opinioni: possiamo così scoprire quale eurodeputato è più vicino alle
nostre posizioni. Al di là delle elezioni, tenete poi presente che tutti
gli atti giuridici dell’Unione – i trattati, le direttive, le sentenze
della Corte di Giustizia europea – sono scaricabili in tutte le lingue
da
EUR-Lex
. Conformemente a quanto stabilito dall’art. 228 TFUE del Trattato di
Lisbona, le persone fisiche e giuridiche di qualsiasi stato membro
possono inoltre ricorrere al
Mediatore europeo
per denunciare casi di cattiva amministrazione nell'azione delle
istituzioni e degli organi dell'Unione Europea. Il Mediatore, eletto dal
PE per un’intera legislatura, agisce in completa indipendenza da ogni
potere.
Noi, figli rifondatori
In conclusione, essere cittadini europei è
possibile. Si tratta, è ovvio, di occupare un nuovo spazio di vita
civile e politica, uno spazio che non è facile fare proprio, e che a
molti appare ancora lontano.
Ciò è dovuto a diversi e comprensibili fattori. Da
un lato vi sono i limiti dell’Unione europea, mancanze di cui dobbiamo
essere severi detrattori – in questo senso possiamo dire che un buon
euroscettico è il miglior europeista, perché sedersi sulla porzione di
democrazia ottenuta equivale a metterla in pericolo. Dall’altro vi sono
le responsabilità delle élite e dei media nazionali, i quali tendono a
riferirsi all’Europa come ad un super-potere senza luogo da cui
ciclicamente piovono richieste di “compiti a casa” – un’espressione
orrenda, la cui diffusione è emblematica della percezione distorta che
abbiamo del progetto europeo.
La nazionalizzazione della battaglia politica
europea è, a ben vedere, la prima lacuna democratica dell’Unione: un
problema cui dobbiamo trovare una soluzione. Non piegarsi alle facili
logiche nazionali già sperimentate dalla Storia durante il secolo che ci
lasciamo alle spalle e non rinunciare a un disegno più ampio e di lungo
periodo è il difficile compito che spetta alle nuove generazioni
europee: a noi, i figli rifondatori. Buone elezioni a tutti.
Articolo tratto da: http://www.balcanicaucaso.org/aree/Europa/Europee-2014-un-vademecum-149707
Articolo tratto da: http://www.balcanicaucaso.org/aree/Europa/Europee-2014-un-vademecum-149707
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